
Sahrawi: Campo profughi a Tindouf, a sud ovest dell’Algeria
Il popolo Sahrawi, la storia di un esodo in attesa del ritorno
Sono più di trent’anni che l’esercito marocchino ha occupato il territorio del Sahara occidentale, richiamato in quelle lande desertiche sotto alle quali sono stati individuati appetitosi giacimenti petroliferi. E sono trent’anni che, malgrado le condanne ripetute dell’Onu, del Tribunale Internazionale dell’Aja, dell’Unione Europea, perfino degli Stati Uniti d’America con il loro rappresentante James Backer, il regime del Marocco, pur dicendosi pronto a parole a concedere l’autodeterminazione al mio popolo, in realtà si oppone con la tortura e con la repressione a ogni possibilità di riscatto Sahrawi. Le nostre emergenze sono l’acqua, la salute, la comunicazione, la formazione e l’istruzione.

Sahrawi: Campo profughi a Tindouf, a sud ovest dell’Algeria
ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo.
Adesso che il mondo l’ho visto davvero e so che è fatto
Di piccoli paesi, non so se da ragazzo
mi sbagliavo poi di molto…
Un paese ci vuole. Non fosse che per il gusto di andarsene via.
Un paese vuol dire non essere soli,
sapere che nella gente,
nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo,
che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.
—Cesare Pavese,
La luna e i falò
Chi sono
I sahrawi, gente del deserto, un’etnia che nasce dalla fusione di berberi con i tuareg, un popolo la cui lotta per la sopravvivenza e il riconoscimento dura ormai dai tempi in cui gli europei colonizzarono e possedevano l’Africa. Un popolo pacifico costretto a reclamare la propria terra d’origine. La loro sopravvivenza è dovuta agli aiuti internazionali.
Il popolo del sahara Occidentale è rimasto l’ultimo popolo africano che non ha ancora esercitato il diritto all’autodeterminazione: l’occupazione del suo territorio da parte Maroccco nel 1975 ha finora impedito questo diritto fondamentale ed ha costretto decine di migliaia di sahrawi a trovare rifugio nel deserto della vicina Algeria, in condizioni estremamente difficili. La solidarietà internazionale si è mobilitata per la sopravvivenza dei rifugiati e sostenerli nel difficile cammino verso la propria autodeterminazione. L’Italia conta più di cento Comuni che hanno siglato una fratellanza speciale con i campi profughi di una nazione dispersa da eventi storici de xx secolo.

Profughi Sahrawi: una madre con la figlia
Nell’ottobre 1975, quando iniziò l’invasione marocchina, il Fronte Polisario guidò la popolazione in fuga verso la vicina Algeria. La città di Tindouf non era certo in grado di sopportare migliaia di rifugiati, che continuarono ad arrivare fino alla primavera dell’anno successivo.
Si scelse perciò una zona a 20 km a sud-ovest della città algerina, nella località detta Hassi Robinet a causa della presenza di un pozzo e un serbatoio d’acqua. Fu così che migliaia di sahrawi si ritrovarono nell’Hammada, il piatto e sassoso deserto della zona di Tindouf, totalmente privo di vegetazione, caratterizzato dalla proverbiale durezza del clima e spesso battuto dal violento vento dell’erih.
In breve centinaia di tende diedero vita a una “nuova città” sahrawi in territorio algerino. Le prime tendopoli assomigliano ad un colorito patchwork fatto di tanti pezzi di stoffa in lotta perenne con il vento e continuamente ricuciti. Nacquero i campi di El-Ayoun, Smara e Dakla a cui venne dato il nome di wilaya.

Sahrawi: Donne nel campo profughi a Tindouf, a sud ovest dell’Algeria
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